Vorrei poter essere come le persone mi vedono.
Finché non inizio a capire che le persone mi vedono nei modi più disparati e, alle volte, in maniera diametralmente opposta gli uni dagli altri.
Una vita di contraddizioni in cui far convivere gli opposti in un solo cervello e in un solo corpo.
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Alle volte vado su un motore di ricerca e cerco immagini di autolesionismo. Lo faccio ogni volta che vorrei prendere un paio di trinciapollo, un coltello o un paio di forbici particolarmente appuntite e farmi del male.
Guardo le ferite sulla pelle degli altri. Guardo le cicatrici da lama. Guardo le cicatrici che mi sono rimaste e penso a quelle che se ne sono andate o che ora sono coperte dalle smagliature.
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Sono a cena con C. e A., iniziamo a parlare, iniziamo a bere. Due gin tonic e una bottiglia di vino dopo, la mia mente inizia a vagare.
Ricordo la mia psicologa preferita. Quella a cui ho portato un regalo da uno dei miei viaggi, un regalo che teneva appeso alla parete del suo studio pieno di libri, riviste e piante, ma dalle pareti spoglie. Quella che ha avuto un tumore ed è sparita, finché l’ho incontrata per caso in un mercatino in un pomeriggio di sole. Mi ha chiesto come stessi, ho sorriso consapevole che non voleva la vera risposta. “Sto meglio”, ho detto. “Tu invece? Penso che sia più importante di sapere come stia io”. Mi ha sorriso. “Non cambierai mai.”
Probabilmente no.
E fa male come un pugno forte e ben diretto allo stomaco.
Come quando mi sto togliendo la divisa e L. mi dice “Sei troppo buona per questo mondo”, faccio una smorfia infastidita e inarco le sopracciglia. “Ci vogliono persone come te, rendi la mia vita migliore”. Mi infastidisco ancora di più, ma le sorrido.
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Trovo incredibile come possa essere percepita come una persona dolce e buona e come una stronza di prima categoria, autoritaria e giudice, allo stesso tempo.
Trovo incredibile come solo il 10% delle persone che incontro capiscano da dove vengo.
S., psichiatra svizzero di mezza età, ogni volta che mi incontra e mi chiede come sto, aggiunge qualcosa. Spesso gli dico che non riesco a ricordarmi il suo cognome. L’ultima volta mi ha chiesto quante persone vedo a settimana. Gli ho risposto una media di mille e qualcosa. Mi ha risposto: “Incontri in un mese più persone di quante una persona media incontra in tutta la propria vita”.
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Cosa sono?
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Non so se quello che sto facendo è quello che mi rende felice. Non so se voglio lasciare tutto e ricominciare a studiare.
Mi piacerebbe diventare una psicologa. Sarei brava. Ma ho voglia di ricominciare tutto da capo?
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Guardo le immagini sul motore di ricerca.
Guardo le cicatrici.
Guardo il sangue.
Mi guardo allo specchio, con le occhiaie più scure degli ultimi mesi.
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Mi devo muovere. Tra poco devo andare in aeroporto.
Le occhiaie non mi lasciano mai.